venerdì 17 aprile 2015

LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO

Risposte di donne

Scrittrici nel cuore #1





Cari lettori,
dovete sapere che sono una lettrice accanita, anzi, esagerata. Quando ero iscritta all'Università, soprattutto durante i primi anni, ero molto impegnata con gli esami, ma trovavo sempre il tempo per la lettura. All'inizio della Laurea Specialistica ho “scoperto” le meraviglie della biblioteca (non so se mi spiego: libri gratis, che poi devi restituire, senza venire sommersa da ondate di manoscritti in casa tua) e non ho più smesso di farne uso. Da circa quattordici mesi, poi, visto che ho terminato gli studi e devo “solo” lavorare (...scherzavo, dai) la situazione è visibilmente peggiorata. Ormai credo che tutti i bibliotecari mi conoscano e che almeno qualcuno di loro pensi qualcosa come: ecco che torna quella ragazza minuta con tutti quei libroni! Ma come farà a portarseli a casa? E soprattutto, ci ha messo davvero così poco a leggerli?




Il mese scorso, però, ho fatto un'eccezione alla regola: tra i vari volumi la cui mole variava dal grandicello all'enorme ho preso anche un libro piccolo, anzi, piccolissimo: Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci.

Mi è bastata la lettura delle primissime pagine per comprendere che questa storia riveste un'importanza capitale, e non solo per le donne della generazione della Fallaci, anzi, non soltanto per le donne, semplicemente.


Per chi non conosce il libro, si tratta della storia di una misteriosa protagonista, della quale si sa soltanto che non è sposata e che lavora. Ella si trova inaspettatamente incinta e intraprende un lungo monologo rivolto al bambino che si porta dentro. È una vicenda sicuramente forte, a tratti dolorosa, ma che spinge ogni lettore ad interrogarsi su quello che prova la donna che sta raccontando il suo dramma. So che questo libro è stato letto da molte persone, ed anche che ha suscitato reazioni contrastanti, ma devo ancora trovare una persona che lo definisca tiepido o banale. Non si tratta di una lettura che lascia indifferenti: si può essere d'accordo (o meno) con le idee esposte nel corso della narrazione, ma non è possibile chiudere il libro senza aver maturato nessuna opinione in proposito.



Tuttavia, non è mia intenzione parlare della grandezza di questo romanzo, perché sicuramente lo avranno fatto in tanti (molto più esperti, bravi e qualificati di me).

Quello che vorrei raccontarvi oggi, invece, è un fatto curioso che mi è accaduto leggendo, e che ci riporta al tema della biblioteca, perché, se avessi comprato il testo in una libreria, non mi sarebbe mai successo.

Ho notato subito che le pagine erano fortemente sottolineate, un po' spiegazzate, vissute. Non mi sarei comunque aspettata, però, dei commenti a margine da parte della precedente proprietaria del libro. Inoltre, non si trattava certo di osservazioni leggere e casuali.





Io so anche questo. Io lo ho vissuto. Benché il ricordo non mi tormenti, mi lascia sempre e comunque perplessa sulla giustizia della vita.”


All'interno del libro, la protagonista sta parlando di quanto, spesso e volentieri, l'esistenza possa essere ingiusta. Fin da quando siamo bambini, ci sono le principessine che hanno dei giocattoli costosi quanto un mutuo, e altre piccole che si accontenterebbero di un cioccolatino ma non riescono ad avere nemmeno quello, e così sono costrette a rimanere in un angolo.


Così, anche crescendo, secondo la protagonista, noi donne non cambiamo (Mi perdonino i signori lettori se faccio un discorso al femminile...il contesto lo richiede.). La narratrice è arrabbiata: ritiene che, ancora una volta, siano sempre le medesime ad avere privilegi (sia nel lavoro che nella vita privata), mentre quelle che più si impegnano si devono accontentare delle briciole. Anche la mia anonima commentatrice probabilmente pensa la stessa cosa, anzi, l'ha proprio vissuta sulla sua pelle.


Quanto a me, non so. Nonostante la fatica nel frequentare una Facoltà impegnativa e non sempre apprezzata in società, il precariato nell'insegnamento e le difficoltà lavorative della mia generazione... mi sono sempre ritenuta molto fortunata.

Tuttavia, sono pensieri che, in questo periodo durante il quale il “merito” è un concetto relativo, molte importanti decisioni sembrano affidate al caso ed ognuno di noi sembra sempre aspettare qualcosa di meglio... beh, sono più che naturali.





Anche io ho cercato la coerenza, non la chiamavo così, ma era simile. Anche io ho pianto.”


Quando il destino interviene e pone fine da solo a dei dubbi che ci eravamo posti, non sempre la reazione è di pace e di sollievo. È in questi casi che si invoca la “coerenza” della quale parla la protagonista, alla quale fa riferimento anche la donna che commenta.

Questi sentimenti si sperimentano, secondo me, soprattutto nel momento in cui è difficoltoso prendersi cura di qualcuno. Può essere il caso di una madre, ma anche quello di una figlia, una sorella, una nipote.


In qualsiasi momento può capitare di sentirsi sbagliate o inadeguate!

C'è l'attaccamento nei confronti di quella persona, certo.

C'è la fatica che occuparcene comporta per noi.

C'è quella punta di sollievo della quale un po' ci vergogniamo, nei momenti in cui la situazione all'improvviso cambia.

Di sicuro, infine, c'è un grande dolore nel vivere tutto questo.

Come possiamo cercare una coerenza? Questa parola appartiene al mondo delle decisioni razionali, ed ogni persona è fatta anche di profondissime irrazionalità. Altrimenti saremmo dei robot, no?!?





Uomini=Eterni bambini e le lori madri che li fanno rimanere tali!”


Mi trovo un po' in difficoltà a parlare di questo commento, in quanto questo non è un blog di consigli sentimentali o posta del cuore. Tuttavia, come lettrice, mi ha davvero colpito la rabbia con la quale questo commento (in maiuscolo e ricalcato rispetto agli altri) è stato scritto.

Forse, oltre all'osservazione un po' scontata che non è mai il caso di generalizzare, ho soltanto un piccolo pensiero. Oriana Fallaci ha scritto questo libro nel 1975, ma tutti noi viviamo nel 2015, ben 40 anni dopo. Il mondo è cambiato.


Non ci sono più soltanto l'uomo e la donna, in una rigida relazione eterosessuale, malvista se non siglata dal matrimonio e con tanto di suocera invadente.

(Sì, lo so, lo so che in Italia spesso è così comunque, ma lasciatemi sognare.)

Ci sono le relazioni “di fatto”, gli omosessuali, le separazioni, i single con o senza figli, le famiglie allargate. Ci sono tante persone che si interrogano, fino all'età adulta, sul loro essere uomo o donna.


Ognuno di noi, a poco a poco, rispetto al passato, sta iniziando a costruire la propria libertà relazionale, e questa non è una limitazione, ma una ricchezza. È un passo in più perché non ci siano più le categorizzazioni di cui sopra.





Tu non sarai più, ed altri tu non ti sostituiranno.”


Ammetto che mi si è spezzato un po' il cuore leggendo questa frase. Che sia per aborto o per una causa naturale, credo che tutte le donne vivano la perdita del feto come un lutto.

Tuttavia, non occorre davvero essere una madre per comprendere questo passaggio.

Qualsiasi persona si perda non è sostituibile, perché, come dicevo prima, siamo unici.

Credo che la mia commentatrice avesse capito molto bene questo, e che fosse talmente sconvolta e disperata da non rendersi neanche conto di aver lasciato questa testimonianza a qualcun altro.





In conclusione: avete letto il romanzo? Ne avete parlato con qualcuno? Quali sono i vostri pareri?

Un grazie di cuore, comunque, alla mia anonima collega lettrice e commentatrice, dovunque ella sia!

Al prossimo post :-)

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